Poco importa se alla fine della giornata il contapassi delll'iPhone segnava 17 chilometri, se durante la giornata non ha smesso mai un minuto di piovere, se dell'evento ho visto un 5% striminzito e stritolato da una fiumana di gente e ombrelli.
Ero all'Expo.
Un po' come quando uscì Titanic al cinema, tutti ne parlavano e più che per una vera spinta interiore di curiosità, andammo al cinema per poter dire l'ho visto anche io.
Con un gruppo di colleghi incellophanati dagli impermeabilini del a PRC store (non si dice piú dal cinese non é nello stile del messaggio Expo che sto cercando di interiorizzare) incartata nel mio coprilavatrice - un fantastico ed invidiatissimo poncho di cerata a fiorellini) mi sono imbarcata in una toccata e fuga milanese.
La prima impressione é stata di rivivere i bei tempi in cui si andava incontro al mondo alla Fiera di Roma. Quella vecchia sulla Colombo, che quando la facevano per festeggiare l'evento alla Rai in bianco e nero, al posto della ragnatela alla mattina mandavano i film. Sí perché quando ero piccola io di canali ce n'erano solo due e tramettevano solo il pomeriggio.
Lungo il famoso Decumano (se hon altro ho imparato che cos'é) ci sono dei super kitch carretti con cibarie finte che immagino siano il simbolo dei prodotti italiani, trulli e nuraghe plasticili tra formaggi, salumi e ortaggi d plastica.
I primi stand visitati - perché chiamarli padiglioni é un po'troppo - con artigianato etnico abbastanza tristanzuoli tipo il Vietnam e la Bielorussia, o uno stand africano dove un cartello pregava di "non calpestare il tappeto, é un'opera d'arte" perché sennó non lo capiva nessuno, erano abbastanza deludenti. Anche la Francia si riduceva ad una sagra del cibo locale con tutte robe appese al soffitto.
Poi ho capito che gli stand visitati erano quelli senza fila e perciò accessibili, con l'equazione "no fila = no bello".
Premesso che io non faccio la fila neanche per acquistare beni di prima necessitá ma solo per la toilette (e di queste per fortuna all'Expo ce ne sono in abbondanza) , abbiamo scelto le attese piú accettabili e siamo riusciti a vedere in padiglioni della Korea e dell'Arzebagian, che finalmente mi sono piaciuti e che mi hanno dato una idea di qualcosa di nuovo.
Peccato che gli altri piú famosi fossero inavvicinabili, a meno che non ci voglia sobbarcare una fila di sei ore.
L'albero della vita é bello, soprattutto perché é l'estrusione del pavimento michelangiolesco di piazza del Campidoglio, un bello spettacolo "son et lumieres" ai tempi dei led, ma a me che ho visto la Fuente Luminosa negli anni '70 a Barcellona, non é sembrato nulla di nuovo o dall'effetto wow.
Sono una disillusa, una disincantata, una ipercritica?
No direi che sono una ritardataria, probabilmente se ci fossi andata a maggio o giugno avrei apprezzato di piú, ma anche se l'organizzazione dei paesi fosse stata migliore l'Expo sarebbe stata piú godibile. Bastava fare due calcoli con la teoria delle code per capire che se sono attesi venti milioni di visitatori non si possono fare padiglioni la cui visita dura 50 minuti per solo cinquanta persone per volta.
Concludendo mi é piaciuto il viaggio, la compagnia, l'esserci, il messaggio che trasmette ma soprattutto Milano, e l'Italia che accoglie e che quando si impegna crea valore.