Vi ricordate il mio post di qualche mese fa sul
dress code?
Dove esternavo la fatica quotidiana di dover essere troppo concentrate su come vestirsi a causa dei condizionamenti esterni?
Arriva la solita Concita De Gregorio e con la sua abilità di penna di tutto rispetto interpreta alla perfezione i miei pensieri e li trasforma in un meraviglioso articolo, da ritagliare e rileggere frequentemente.
La Repubblica domenica 17 gennaio 2008
Innamorarsi ai giardinetti con l’orlo tenuto su dalla spillatrice
CONCITA DE GREGORIO
La vera alternativa all’essere sempre impeccabile è non esserlo mai. Eliminare il problema alla radice, svelarne
l’intimo raccapricciante inganno. Impeccabile in che senso, a giudizio di chi? Soprattutto: a servizio di chi? Pensare «cosa mi metto» (o deprimersi nella sua più frequente variante «non ho niente da mettermi») è la via più frequentata per distrarsi da altri ben più rilevanti vuoti nell’armadio dei giorni: non aver niente da fare, da pensare, da scrivere, da dire.
L’attenzione per il «twin set giusto» è di solito inversamente proporzionale a quella riposta nella ricerca di una formula matematica, di un asteroide o di un manoscritto di Dino Campana. La frequenza con cui si consulta lo stilista di riferimento è senz’altro depressa fino allo zero dalla numerosità dei consigli di classe, degli accompagnamenti pomeridiani di figli minori o padri disabili, delle bollette anche arretrate da pagare, le pratiche per regolarizzare la baby sitter, eventuali gestioni di lutti e di assenze, guasti alla lavatrice e altri domestici imprevisti oltreché dal lavoro, naturalmente, che quelle otto ore quotidiane come minimo le impegna.
Non è, questa, la versione aggiornata del consolatorio e un po’ retorico «l’importante è essere belli dentro», detto di solito a quelli che lo sono meno fuori. È una constatazione dettata dall’esperienza, piuttosto. Di nessuna, nessuna delle persone interessanti che ho conosciuto nella vita ricordo la griffe dell’abito che indossavano. Ho piuttosto l’impressione che non indossassero abiti griffati. Jaqueline Du Pre suonava il violoncello con una maglietta da uomo. Franca Viola mi aprì la porta di casa con un grembiule e la scopa in mano, stava pulendo le scale, era bellissima. Maya Sansa è irresistibile nei maglioni xl e la più seducente delle madri della scuola arriva ogni mattina trafelata e sorridente coi pantaloni della tuta e due dei suoi tre figli per mano, la guardano tutti. Ho inoltre la certezza che nessuna dirigerà un giornale o un’azienda solo se indossa «aggressivi tailleur di foggia maschile», ha piuttosto maggiori probabilità di riuscire a fare quel che desidera se impegna l’attenzione nel lavoro quotidiano e anzi, la distrazione dal proprio aspetto esteriore è di solito responsabile di quell’agognata formula che è la «bellezza inconsapevole».
Nessuna, credo, è mai stata riamata dall’uomo che ama solo grazie alla scelta «per la serata romantica» del «tacco giusto ». Perché tacco al singolare, poi, se sono due? In genere le serate romantiche preparate per giorni sotto questo titolo vengono malissimo, ammesso che si trovi il tempo di organizzarle.
Di solito la passione tra adulti sconosciuti si accende a una macchinetta del caffè dove lei sta cercando di recuperare la moneta incastrata, ai giardinetti della scuola dove lui non sa come consolare il figlio spinto a terra da un compagno, per strada di corsa sotto la pioggia senza ombrello in un attimo di sosta al riparo di un balcone. Non hai mai il tacco giusto, in situazioni così: hai i capelli bagnati, l’orlo dei pantaloni appena scucito fermato con la spillatrice. Inoltre in una società sostanzialmente e profondamente maschilista essere, per una donna, distratta dal suo ruolo di seduttrice (dunque non agghindata, «inconsapevolmente bella») è di solito percepito dai maschi competitivi e atterriti dal possibile confronto come rassicurante, pacificatorio, garante di quiete e dunque attraente. Ma questo è un dettaglio, può portare fuori strada.
La sostanza, piuttosto, è come fare ad evitare il diktat del «tailleur di taglio aggressivo» o la «scollatura sexy» per il cocktail senza sembrare la signora delle pulizie rimasta chiusa in ambasciata. Va bene ignorare l’imperativo dello sguardo altrui: il limite è rispettare il proprio. Bisogna piacersi abbastanza. Stare comodi, a proprio agio. Non servono corsi new age di centratura del sé. Basta azzerare il volume del coro (le riviste, i consigli delle amiche e degli amici, le interviste delle fidanzate del presidente, la mamma) e concentrarsi nel privato ascolto di sé. Cosa serve, cosa aiuta. Ovviamente ciascuno ha la sua risposta privata. Vale per tutti quel che si insegna (si prova ad insegnare) ai figli, soprattutto maschi, soprattutto preadolescenti: la cosa che più conta è avere un buon odore, di pulito e persino di colonia e talco. Riuscire a sentirsi addosso l’odore piacevole della propria pelle, sempre. Dunque trovare, nel giorno, momenti per ripristinarlo. Assolutamente obbligatorio. Secondo: stare comodi. Non essere costretti dagli abiti a pensare a loro ogni minuto: la cintura che stringe, la scollatura che si apre, le scarpe che non puoi camminare. Si vede, quando i vestiti hanno il sopravvento. I pensieri stentano a riprodursi, lo sguardo si fa vitreo. Terzo: se si deve uscire alle sette di mattina e rientrare all’una di notte bisognerà che l’abito sia altrettanto longevo. Dovrà essere scuro, che non si vedano le macchie. Morbido, che aiuti ad assecondare la fatica. Duttile e semplice. Meno bottoni ci sono meno se ne perdono. Di qualità, se possibile.
Una maglietta bianca girocollo deve essere una bella maglietta bianca. Una che sa fare il suo lavoro di maglietta. Anche per le t-shirt vale la regola delle persone attorno: meglio poche ma buone.