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Inutilmente faccio buoni propositi.
Ho imparato a non dire più, uscendo il venerdì sera, "buon week-end".
Immancabilmente qualcuno mi rispondeva "io, domenica, lavoro" con l'espressione di chi contemporaneamente pensava "e tu te ne stai a casa in panciolle".
Adesso dico "arrivederci", o "a lunedì". Questo l'ho imparato.
Inutilmente mi riprometto di non dire più "come sta?".
Devo avere l'espressione di chi se ne interessa veramente, perchè così improvvisamente, in piedi, in un corridoio, davanti ai clienti o in mezzo ad una corrente d'aria, in pochi minuti mi rovesciano addosso una vita.
"Come sta?"
"Insomma... ho perso mia moglie un mese fa. Era malata da venti anni di sclerosi multipla..."
"Come va?"
"Sono un po' preoccupato. Mia figlia di quattordici anni è in crisi, non mangia niente, speriamo non sia nulla di grave..."
"Come andiamo?"
"Mio padre ha avuto un'ischemia, è depresso, sa diciotto anni fa ho perso un fratello, aveva ventuno anni..."
Ce l'hanno lì, sulla punta della lingua, la voglia di raccontare il loro vissuto, di sfogarsi.
Spero di riuscire a trasmettere, in quelle frazioni di minuti, un po' di empatia.
Ma ogni volta ne esco turbata. E' una questione di accumulo, come le radiazioni.
Allora mi concentro e faccio esercizio, teniamoci su argomenti neutri, sulla metereologia:
"Ah, ancora piove!"
"Beh signora, per fortuna, pensi che potrebbe nevicare!"
Ti adoro, inguaribile ottimista.